Fedeltà, memoria e riconoscimento nel cuore dell’Odissea
Abstract
Nell’Odissea, il cane Argos appare per pochi versi, ma la sua storia è una delle più potenti mai scritte sul legame tra uomo e animale. Attraverso il suo sguardo, Omero ci parla di fedeltà, tempo e riconoscimento: non quello che si conquista con prove o parole, ma quello che nasce da una memoria condivisa.
Argos è il primo a riconoscere Ulisse, e il suo gesto silenzioso diventa un simbolo eterno del legame tra esseri viventi.
Il ritorno e lo sguardo
Dopo vent’anni di assenza, guerre e naufragi, Ulisse torna a Itaca travestito da mendicante. Nessuno lo riconosce: né Penelope, né Telemaco, né i servi. Eppure qualcuno lo vede. Tra i rifiuti del cortile giace un cane, vecchio e piagato: Argos, il compagno di caccia dei tempi lontani. Lo scorge, alza le orecchie, muove la coda, tenta di sollevarsi. Non può abbaiare né avvicinarsi, ma riconosce.Ulisse abbassa lo sguardo per non tradirsi, una lacrima gli scende sul volto. Poco dopo, Argos chiude gli occhi per sempre. Ha visto il suo padrone, e può finalmente riposare.
Cosa rappresenta Argos
1. Il riconoscimento che non ha bisogno di prove
Nel poema, il riconoscimento – anagnorisis – è un tema centrale. Penelope, Telemaco, Euryclea: tutti hanno bisogno di un segno. Argos no. Gli basta lo sguardo. È l’unico che riconosce senza parole, perché la fedeltà non si basa sull’intelletto ma sulla memoria del cuore. Omero gli affida il riconoscimento più autentico: quello che non può essere simulato.
2. La memoria della casa
Argos è la memoria vivente dell’oikos, la casa. È rimasto al suo posto mentre tutto intorno crollava: i Proci banchettano, i servi tradiscono, l’ordine domestico è perduto. Il suo corpo malato racconta il tempo dell’abbandono. Eppure, nel momento in cui vede Ulisse, quella memoria si riaccende: è il segno che la casa sta per ritrovare se stessa.
3. La fedeltà come resistenza
La fedeltà di Argos non è solo affetto: è resistenza fisica e morale. Ha sopportato vent’anni di solitudine, senza nutrimento, senza cure. È il coraggio silenzioso di chi continua a credere, di chi non dimentica. In lui, la fedeltà non è un sentimento, ma una forma di tenacia vitale.
4. L’ordine morale del mondo
Argos è anche uno specchio morale: dove il cane è trascurato, la casa è corrotta. La sua condizione riflette il degrado dell’intera Itaca. Quando Ulisse torna e viene riconosciuto, l’ordine si ricompone. La fedeltà ritrova il suo posto, la giustizia torna nella casa. Il mondo di Omero è un mondo in cui il destino dell’uomo e quello del cane si rispecchiano.
5. La morte come compimento
La morte di Argos non è una perdita, ma un atto di pienezza. Ha aspettato, ha visto, e ora può andare. È una morte serena, necessaria, che suggella il ritorno dell’eroe. Il custode della memoria ha compiuto la sua missione.
Simbolo universale
Argos continua a commuoverci perché racconta qualcosa di profondamente umano: la forza del legame che resiste al tempo. Nel suo sguardo c’è la sintesi perfetta della relazione uomo–cane: fiducia, riconoscimento, reciprocità. In un mondo dove tutto cambia, Argos rappresenta la fedeltà che non si piega, la memoria che non si spegne, l’amore che resta.
Lo sapevi che…
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Il nome Argos deriva dal greco argós, “lucente, rapido”, come la corsa di un cane da caccia.
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È il primo personaggio dell’Odissea a riconoscere Ulisse.
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La scena dura appena quaranta versi, ma è una delle più studiate di tutta la letteratura antica.
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Il pittore John William Waterhouse ne ha dato una celebre interpretazione nel 1912, in Ulysses and Argus.
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Alcuni autori moderni hanno letto in Argos una figura cristologica, simbolo di amore fedele e redenzione.
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Traduzioni italiane: il cane appare come Argo (Calzecchi Onesti, Heimonet/Privitera, Ramous). In inglese spesso Argus.
Argos e la cultura cinofila di oggi
Nel lavoro, nello sport e nella vita quotidiana, il cane continua a essere specchio e compagno dell’uomo. Argos ci insegna che la relazione nasce dal riconoscersi, non dal dominare. Che la fiducia si costruisce sul rispetto, e la fedeltà si mantiene attraverso la cura. Forse per questo, a tremila anni di distanza, il suo sguardo continua a parlarci. Ci ricorda che non è l’obbedienza a fondare il legame, ma la presenza reciproca, la capacità di restare.
Bibliografia essenziale
Fonti antiche
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Omero, Odissea, canto XVII, vv. 290–327
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Traduzioni: R. Calzecchi Onesti (Einaudi), G. A. Privitera (Mondadori), G. Ramous (Garzanti)
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Studi moderni
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G. Nagy, The Best of the Achaeans, Johns Hopkins University Press, 1979
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P. Pucci, L’eco del mito. Letture dell’Odissea, Carocci, 2012
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I. J. F. de Jong, A Narratological Commentary on the Odyssey, Cambridge University Press, 2001
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N. Felson, “Semiotics of Recognition in the Odyssey”, Arethusa, 1983
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M. Detienne – J.-P. Vernant, Le astuzie dell’intelligenza nell’antica Grecia, Laterza, 1981


